Danni da fauna selvatica: necessità di una strategia sinergica e percorsi condivisi

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È arrivata in serata la segnalazione da un’imprenditrice agricola di Fontana Liri di un’aggressione da parte di tre lupi al proprio bestiame. Nei giorni scorsi ci erano già arrivate segnalazioni di avvistamenti nel comune di Rocca d’Arce dall’associazione Ortica, impegnata in questi giorni a tracciare L’itinerario nel Lazio delle erbe aromatiche e dall’azienda La Maison della Ruralitè.

Ci racconta Camilla:

“Alle 20:45 tre lupi sono entrati nel nostro recinto, avevano un manto grigio scuro/rossastro e movimenti agili, sembravano tutti giovani. Hanno ucciso una capra adulta e ferito un capretto. Li ho inseguiti e sono scomparsi di nuovo a sud attraverso la foresta.”

Come GAL promuoviamo la sinergia tra la potenzialità del reddito dell’azienda agricola e la biodiversità attraverso una lettura sistemica del territorio. Non vogliamo allarmismi con letture oscurantiste, da anni abbiamo superato lo stereotipo del “lupo cattivo” e, soprattutto, nella strategia di sviluppo del GAL abbiamo sempre cercato di affermare la centralità e l’importanza dell’imprenditore agricolo con la necessità di armonizzare in termini efficienti la produzione agricola con il paesaggio, la biodiversità, il rispetto della fauna e del patrimonio naturalistico in una prospettiva complessa ma praticabile.

Bisogna immaginare la montagna come un territorio di frontiera che ha bisogno di integrazione e progettazione forte, poiché bisogna immaginare uno spartito in cui la centralità del reddito agricolo e le potenzialità della biodiversità, della natura e del paesaggio diventino non antitetiche, ma fattori complementari.

Alcune esperienze dimostrano come sia possibile costruire non solo un equilibrio, ma un vero e proprio fattore di forza dalla possibilità di coniugare il reddito agricolo con natura e paesaggio, non solo un compromesso statico, ma la possibilità di creare un rafforzamento del territorio stesso.

Da qui la necessità di non ragionare per slogan e facili letture, c’è bisogno di tempo e di stagioni partendo dalla necessità di analizzare le agricolture in termini plurali.

Una lettura fortemente integrata in grado di andare oltre le facili interpretazioni, una lettura innovativa in cui biodiversità, patrimonio naturalistico e produzione agricola siano tasselli complementari di una strategia che, attraverso una lettura dinamica ed innovativa, riescano a garantire dignità, reddito, sostenibilità agli imprenditori agricoli, che è soggetto indispensabile e pivot, e contestualmente valorizzare quell’enorme patrimonio rappresentato dalla biodiversità. Costruire cioè i presupposti in termini normativi, amministrativi e imprenditoriali per una valorizzazione reale e praticabile delle aree montane e delle agricolture “di resistenza”. Un tessuto produttivo e un paesaggio in grado di essere fattori complementari e sinergici e non antagonisti creati da sterili letture superate nel tempo.

“ … alla evoluzione del pensiero ambientalista, alla definizione della normativa di settore e alle mutazioni dell’assetto socio-economico, del costume e del progresso tecnologico. Da fortini di frontiera, in difesa di emergenze naturalistiche, i parchi del Lazio sono oggi contestualmente, centri di aggregazione territoriale, laboratori di idee, diffusori di buone pratiche, conservatori del patrimonio naturale e culturale e molto ancora. Occorre quindi investire nella definizione di strategie comuni che possano indirizzare le forze e risorse della Rete delle Aree Naturali protette regionali verso comuni obiettivi di portata alta, da raggiungere attraverso efficaci azione e percorsi condivisi.” (Giovanna Bargagna – Editoriale)

Non si possono praticare facili soluzioni che poi sono foriere di problemi – come la reintroduzione dei cinghiali ungheresi – ma instaurare tra imprenditore e paesaggio una strategia in grado di valorizzare sia la realtà, sia l’immanenza, la fatica e le asprità con la stessa necessità e con finanziamenti che valorizzano, promuovono e incentivano le imprese che scommettono su un territorio difficile che troppe volte ( e su questo è possibile cambiare il ritmo) non è garantito dai servizi, periferico non solo in termini geografici, ma quotidiani e prospettici. Coniugare le difficoltà di essere custodi di un territorio montano svantaggiato con le necessità di un sistema complessivo di monitorare e vivere gli spazi montani (prevenire rischio di incendio, valorizzare i percorsi di trekking, monitoraggio del territorio). Tale sintesi non si costituisce con facili soluzioni.

L’agricoltura, il paesaggio, i territori necessitano di tempo, studio e progettazione; facili soluzioni come progetti di conservazione volti alla reintroduzione e al ripopolamento immediato rischiano – come dimostrato da molti studi internazionali – di non raggiungere obiettivi rispondenti a criteri biologici reali.

Spesso i progetti vengono valutati per la loro capacità di impatto sulla comunicazione piuttosto che sull’efficacia nel raggiungere i propri obiettivi di conservazione, ammesso che li definiscano in modo concreto ed esplicito. Non definire con chiarezza un obiettivo permetterà sempre di dire che esso è stato raggiunto. Più complicato è dimostrare che una reintroduzione si è conclusa con successo in quanto dopo un tempo congruo (almeno vent’anni, perché abbia un minimo di senso biologico) la specie in questione si è insediata su un territorio di un certo numero di ettari con un determinato numero di individui che si riproducono in natura. Quanti progetti attuali di reintroduzione promossi da aree protette contengono queste informazioni e questi impegni nei loro documenti strategici? È interessante comunque chiedersi perché è così difficile parlare di gestione di ecosistemi e di conservazione della biodiversità e così facile parlare di lupi e cinghiali.  

C’è inoltre la necessità di avere un riconoscimento immediato dei danni, senza se e senza ma, e un riconoscimento della mancata produzione durante il tempo in cui il danno viene riconosciuto.

La necessità di garantire e informare in termini continuativi attraverso la tecnologia 4.0 (che non è solo il tablet nel capo di grano), utilizzo di app e social per informare e comunicare sui danni del sottobosco, normative e progetti. Formazione e informazione costante da parte di istituzioni e stakeholders rivolta a quanti nella pubblica amministrazione non solo devono avere conoscenza del patrimonio territoriale, ma anche immaginare soluzioni a quei problemi che non possono essere solo un dramma stagionale, ma divenire in poco tempo un problema risolto. Garantire informazione e risorse immediate agli imprenditori agricoli, non si può pretendere una conoscenza dei vincoli burocratici, né avere un risarcimento dei danni dopo sei mesi.

Riprendendo il lavoro dell’Arsial, bisogna ragionare in termini sinergici. Il GAL si è subito attivato grazie a progetti presentati, come quello di 66coop e dell’associazione Ortica, che mirano ad una mappatura del territorio, per favorire l’informazione, la formazione, la prevenzione dei rischi e la valorizzazione del territorio.

Bisogna, inoltre, coniugare le necessarie e opportune risorse immaginate dalla Regione Lazio attraverso la Sottomisura 4.3.1 con una strategia ampia e di respiro in grado di garantire la valorizzazione della biodiversità e del territorio. Attivare una connessione maggiore e continuativa tra i soggetti che rappresentano in termini istituzionali e sociali forze, interessi e passioni, ossia mettere in connessione le ATC caccia con le associazioni territoriali, le associazioni venatorie con gli amanti del trekking (molto spesso abbiamo sentito realtà lamentarsi di colpi sparati sulle teste dei camminatori).

In serata abbiamo già avuto un confronto con gli amministratori dei comuni di Fontana Liri e Rocca d’Arce su tale problematica e, per non dare spazio a una lettura fobica e dettata da una paura diffusa, ci siamo attivati per realizzare un’iniziativa coinvolgendo enti, associazioni e imprenditori agricoli del territorio sulla tematica per analizzarla, capirla e trovare soluzioni sinergiche ed efficaci.